INTRODUZIONE AL PROBLEMA E PROFILI PSICOLOGICI
La dottrina criminologica incontra molta difficoltà nel definire il fenomeno dello stalking poiché costituisce un modello comportamentale comprensivo di conformità e criminalità.
Si definisce allora stalking quell’insieme di comportamenti ripetuti, a carattere intrusivo o minaccioso o violento, che una persona compie ai danni della vittima fatta oggetto di attenzione ossessivamente imposta e, perciò, produttiva di serio disagio, preoccupazione e alterazione del complessivo equilibro psicologico ovvero come un fenomeno “consistente in comportamenti intrusivi ed ossessivi, che si traducono in un autentico tormento per le vittime, con conseguenze anche gravi sotto il profilo psico-fisico.
Il fenomeno dello stalking ha, peraltro, costituito oggetto di attenzione – sotto il profilo politico-criminale, oltre che sociologico – solo in tempi relativamente recenti: i primi casi risalgono, infatti, agli anni ‘80 negli Stati Uniti, primi nel predisporre un’apposita fattispecie criminosa per reprimere tali categorie di condotte, dapprima con la legislazione Californiana del 1990 e, in seguito, con specifiche norme adottate dai singoli Stati, sino a giungere allo Interstate Stalking Act del 1996, grazie al quale lo stalking diviene un crimine federale.
A livello europeo è stato istituito, nel 2003, il Modena Group on Stalking (MGS), che raccoglie un gruppo multidisciplinare di studiosi impegnati in progetti di ricerca finalizzati alla prevenzione della violenza delle donne oltre che nei confronti dei bambini e degli adolescenti, il cui rapporto rileva che fino al 2007 i Paesi membri provvisti di una specifica normativa sullo stalking erano otto (mentre già in 10 erano quelli che avevano istituito delle forme di supporto sociale e psicologico per le vittime).
A parte le spinte provenienti dalle citate esperienze legislative straniere e dai progetti elaborati in ambito europeo, le ragioni politico criminali che hanno indotto il nostro legislatore ad introdurre un’apposita fattispecie incriminatrice sono di natura diversa: esse risiedono, essenzialmente, nella constatata insufficienza delle fattispecie di violenza privata (art. 610 c.p.p) e di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), nelle quali in precedenza venivano inquadrate le condotte persecutorie, a reprimere il fenomeno criminoso de quo. Da un lato, infatti, la condotta che si configurava come delitto di violenza privata lasciava ampi vuoti di tutela penale e, dall’altro, la natura contravvenzionale della fattispecie di molestia rendeva la tutela penale inefficace rispetto al disvalore sociale della condotta criminosa persecutoria.
La prima problematica in cui si è imbattuto il legislatore italiano nella costruzione della definizione del reato è stata quella di prevedere quindi una fattispecie che comprendesse le possibili condotte persecutorie tipizzate dalla letteratura scientifico-criminologica ma che, al contempo, non violasse i principi di tassatività e determinatezza delle condotte di rilevanza penale.
L’introduzione del delitto di atti persecutori, nel nostro ordinamento giuridico, è stata peraltro accompagnata da un continuo “dialogo” tra la stessa letteratura scientifico-criminologica e la dottrina penalistica, volto ad enucleare una norma adeguata che riuscisse a “tipizzare” una serie di condotte che, per le loro caratteristiche, avessero rilevanza criminale in quanto ripetute e in considerazione del rapporto tra l’autore e la vittima del reato stesso. Sotto il profilo criminologico è stato infatti rilevato che lo stalker pone in essere comportamenti che diventano persecutori agli occhi della legge quando siano consapevoli, intenzionali, reiterati, insistenti e duraturi. Tra questi vi troviamo ad esempio:
Inoltre si ritiene che lo stalking sia un comportamento che segue un’evoluzione, un’escalation, che viene descritta in quattro fasi:
La prima fase, all’origine dell’attività criminale e della violenza sulle donne, è quella in cui si sviluppa una relazione emotiva conflittuale derivante da un legame precedente interrotto o terminato, oppure a causa di un rapporto intensamente desiderato dallo stalker ma non accettato dalla vittima.
La seconda fase è quella in cui il rifiuto della vittima, la sua inaccessibilità o l’impossibilità di colpirla efficacemente fanno sì che l’agente percepisca una sconfitta personale da cui deve riscattarsi.
La terza fase è quella delle conseguenze psico-fisiche per la vittima in relazione alla quale la dottrina ha elaborato la nozione di “sindrome da trauma da stalking” (STS, Stalking Trauma Sindrome) che per certi aspetti richiama il fenomeno da maltrattamento e la sindrome da trauma da rapimento, ma che di fatto rappresenta una condizione a sé stante.
L’ultima fase è quella definita dagli studiosi “scontro finale”, che si può realizzare attraverso una conclusione tragica, determinata sia da uno stalker che intensifica il contenuto e le modalità di aggressione, sia da una reazione della vittima esasperata: tuttavia si rileva che, per fortuna, nonostante i notevi più recenti casi di cronaca, l’epilogo distruttivo resta spesso solo a livello ideativo e l’ultima fase dello stalking si definisce così in una denuncia penale o in uno scontro legale.
Esistono vari tipi di stalkers, anche se spesso si tratta dell’ex coniuge o dell’ex fidanzato che non riuscendo ad accettare la fine della relazione, cerca, con condotte ossessive, di riconquistare l’ex partner; talvolta si tratta di un estraneo o un conoscente che vorrebbe instaurare una relazione sentimentale con la vittima contro la sua volontà. Esiste anche lo stalking ad opera di estranei nei confronti di personaggi famosi che pur essendo molto “interessante” dal punto di vista mediatico, coinvolge un numero limitato di persone.
L’elaborazione della categoria dello stalking deriverebbe dalla fusione di due ampie aree di comportamenti umani: da un lato quella delle molestie sessuali, degli atteggiamenti minacciosi, delle intrusioni nella sfera privata, già penalmente rilevanti, e dall’altro quella dei comportamenti, più o meno tollerati nel passato, con i quali gli uomini hanno tradizionalmente imposto la loro volontà alle donne. Tuttavia va aggiunto che non è ancora stata stabilita una classificazione ampiamente accettata delle caratteristiche dello stalker poiché esiste un gran numero di classificazioni e raggruppamenti creati da esperti di diversi ambiti.
I primi autori a proporre una classificazione sono stati Zona, Sharma e Lane (1993)[1]. Essi hanno basato la loro rassegna su 74 fascicoli dell’Unità di gestione delle minacce del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che successivamente fu arricchita di altri 126 casi.
Paolo Curci, Gian Maria Galeazzi e Cesare Secchi scrivono insieme “La Sindrome Delle Molestie Assillanti”, un manuale che si propone di riunificare in un’unica categoria i gruppi che contengono tutte le azioni devianti che determinano lo stalking, mettendo in evidenza tre caratteristiche comuni del fenomeno:
A queste teorizzazioni si aggiungono dati riferiti ai mutamenti sociali che potrebbero aver condotto ad un aumento dei comportamenti persecutori, legati in particolare all’esito negativo derivante dal raggiungimento dell’indipendenza da parte delle donne: per alcuni uomini il passaggio da una società patriarcale ad una tendente al paritario potrebbe essere stato troppo radicale e, inconsciamente, disapprovato.
Nel 1995, Harmon, Rosner, Owens invece, suddivisero gli stalker in base alla natura del legame di attaccamento con le loro vittime, considerando 48 casi seguiti presso la Criminal and Supreme Court di New York.
Gli autori descrissero due stili di attaccamento degli stalker nei confronti delle vittime:
Negli anni seguenti sono state fatte molte altre classificazioni, ma la più importante, risulta quella ideata da Mullen e Purcell (1999)[2]. Essi hanno considerato un campione di 145 valutazioni cliniche di casi di stalking come violenza sulle donne, con un approccio multi-assiale.
Il primo asse riguarda la motivazione dello stalker e il contesto in cui agisce.
È infatti importante riuscire a cogliere la funzione del comportamento dello stalker, sia in termini di bisogni e desideri che cerca di soddisfare, sia in termini di comprensione delle gratificazioni come elemento di rinforzo, che possono far perpetuare il comportamento persecutorio. È fondamentale inoltre, comprendere il contesto nel quale tale condotta si manifesta, per poter meglio comprendere gli obiettivi e le strategie dello stalker.
Il secondo asse riguarda la natura del rapporto preesistente con le vittime.
Comprende l’analisi dei rapporti con partner precedenti, i suoi contatti professionali, i rapporti con gli amici e i conoscenti.
Il terzo asse include la diagnosi psichiatrica, all’interno della quale si distinguono due gruppi clinici:
Secondo gli autori quindi, analizzando e integrando tutti e tre gli assi si possono fare previsioni riguardo:
In un articolo pubblicato sul Journal of Criminal Justice (Patton et al., 2010)[3], emerge anche una relazione tra stalking e teoria dell’attaccamento.
Le caratteristiche dello stalker, pertanto, possono essere definite partendo dai modelli dell’attaccamento del bambino con la madre, proposti da Bowlby (1969, 1973).
Nello studio svolto da Patton, Nobles e Fox (2010) si cerca di determinare quale stile di attaccamento sul versante disfunzionale possa essere correlato maggiormente a questi comportamenti. Dai risultati della loro ricerca emerge che lo stile di attaccamento insicuro-ambivalente-ansioso è significativamente associato a comportamenti di stalking, contrariamente allo stile di attaccamento insicuro-evitante. Le tipologie di individui che presentano un attaccamento insicuro ansioso-ambivalente, si caratterizzano per un’ansia generalizzata nelle relazioni, tendono a mettere in atto comportamenti associati a gelosia e rabbia verso il partner o intrusivi, molesti e persecutori nei confronti dell’ex partner, tutte modalità disfunzionali che permettono loro di rispondere al conflitto relazionale.
Il Prof. Paul E. Muller della Monash University a Melbourne, ha descritto gli uomini stalker distinguendone cinque tipologie fondamentali:
nell’ambito di rapporti professionali particolarmente stretti, come ad es. quello tra paziente e psicoterapeuta;
diventa opprimente e, quando si rende conto di non riuscire a raggiungere i risultati sperati, anche aggressivo e villano;
Meloy e Gothard invece, utilizzano il termine “inseguitore ossessivo” per descrivere il soggetto che mette in atto comportamenti reiterati di persecuzione e molestia nei confronti di un’altra persona. A volte, questo persecutore può presentarsi come un grande introverso e manifestare comportamenti tipici della personalità schizoide, fino a mostrare ostentazioni molto estroverse tipiche della personalità antisociale, con intervalli ossessivi, paranoici, ipocondriaci, borderline, istrionici e narcisistici, che sono magistralmente “avvicendati”; una personalità poliedrica, molto simile all’organizzazione di personalità borderline definita da Kernberg .
Secondo gli studi dell’O.N.S., Osservatorio Nazionale sullo Stalking, solo il 10% degli stalker soffre di psicopatologie gravi con perdita del contatto con la realtà, mentre circa nell’80% dei casi si tratta di soggetti ben inseriti nella società con un buon contatto con la realtà.
Una delle cause più frequenti dell’attivazione del comportamento persecutorio è proprio la fine di un rapporto d’amore, sebbene segnali siano già presenti all’inizio e durante la relazione (controllo, gelosia eccessiva, ecc.). Una spiegazione più psicologica è quella che lo stalker, come in altri comportamenti reato, sia fuso nella relazione di coppia e che quindi la fine del rapporto sia vissuto come un rifiuto e un fallimento, una perdita definitiva di potere e controllo sulla vittima. Il persecutore diventa pertanto solo la rappresentazione del bambino trascurato emotivamente che sviluppa, attraverso una relazione disfunzionale, un vissuto interno di diffidenza e di timore ed una vera e propria ossessione nei confronti della vittima.
Emerge inoltre che aumenta la presenza di numerose donne stalkers ed è stato rilevato che lo stalking femminile assume connotati differenti da quello maschile tipici delle differenze di genere. E’ infatti uno stalking sottile, subdolo, fatto di minacce velate e di numerose violenze psicologiche; predilige l’accanimento e la persecuzione verso un individuo specificamente analizzato e si avvale di tecniche sofisticate per elaborare strategie non solo di attacco ma anche difensive, al fine di sviare le indagini e mettere la vittima in difficoltà sotto il profilo probatorio.
Tornando alla questione precedente, è evidente che non tutti gli stalkers siano dotati della stessa carica offensiva: si deve distinguere lo stalker molestante (che cerca affetto ed intimità con la vittima) dallo stalker intrusivo (che cerca, invece, intimità con tattiche strumentali manipolative ed opportunistiche); lo stalker organizzato (che è alla ricerca di una vendetta personale e, pianificando con cura le modalità di persecuzione, causa danni ingenti alla vittima) dallo stalker disorganizzato (che, al contrario, è un soggetto arrabbiato e vendicativo e quindi non in condizione di pianificare in modo strategico l’attività persecutoria).
Con riferimento, in particolare, al rapporto amore-vendetta e al disturbo psicologico del persecutore, si distinguono inoltre lo stalker borderline e con disturbo psicotico dell’umore, che instaura con la vittima una relazione reale, e lo stalker paranoide ed antisociale, il quale vive una relazione di pura fantasia (di solito priva di conseguenze dannose). In quest’ultima categoria si evidenzia la presenza di stalkers con disturbo delirante di tipo psicotico-erotomane e stalkers con disturbo delirante di tipo psicotico-persecutorio: il rapporto con la vittima (l’esistenza, cioè, di una pregressa relazione tra vittima e persecutore e la durata della stessa) consente di ravvisare una relazione persecutoria che gradua il rischio di reato, distinguendosi i casi di controllo possessivo sulla vita della vittima (alto rischio) dalle ipotesi di controllo più innocuo (basso rischio).
Il legislatore, alla luce di quanto emerso dagli studi scientifico-criminologici sopra ripercorsi, ha cercato di costruire una figura di reato che fosse in grado di esprimere le peculiari note caratteriologiche dei soggetti coinvolti nella vicenda persecutoria: da un lato lo stalker, soggetto sofferente dal punto di vista psichico o psicologico, ossessionato dall’oggetto del suo desiderio (ad es. l’ex fidanzata, l’ex moglie, o una star del cinema), il quale, almeno inizialmente, non vuole fare del male ma realizza una vera e propria “escalation” persecutoria (appostamenti, telefonate, sms, e-mail e minacce che nei casi più gravi possono condurre a lesioni o addirittura all’uccisione della vittima); dall’altro la vittima, che diviene tale – secondo l’attuale formulazione dell’art. 612 bis c.p. – solo laddove il comportamento del persecutore “cagioni” alla stessa un perdurante e grave stato di ansia o di paura o “ingeneri” nei suoi confronti un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di altra persona legata da relazione affettiva ovvero “costringa” la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita, così prevedendosi un reato, oltre che abituale, d’evento e non di mera condotta.
Le risposte delle vittime allo talking non sono ben definite e fisse ma sono soggettive, dipendenti sia dalla personalità, dalle esperienze, dal contesto culturale di riferimento della stessa ma anche dal comportamento dello stalker. Notando un inquietante numero di casi di stalking anche tra i giovanissimi, nel suo libro “Lo Stalking tra Necessità Politico-Criminale e Promozione Mediatica”, la stessa spiega come lo stalking tra minori si distingua dalle semplici “cotte adolescenziali” per le quali è spesso confuso e, di conseguenza sottovalutato. I danni dello stalking sui giovani, sono molto gravi perché possono compromettere il loro sviluppo emozionale e la capacità di rapportarsi con gli altri. Le prime reazioni di queste vittime si manifestano nell’assenteismo e nel crollo del rendimento scolastico, seguite poi da disturbi più gravi, come depressioni o idee di suicidio. Spesso, in questi casi, lo Stalking diventa cyber-stalking perché la condotta persecutoria si realizza cercando di avvicinare la vittima tramite telefono cellulare e/o social network per poi tormentarla. Una possibile motivazione alla base di questo fenomeno, potrebbe essere l’abbassamento dell’età delle prime relazioni amorose: mancando sufficiente maturità emotiva e cognitiva, si può sfociare in comportamenti persecutori nei confronti dell’oggetto del desiderio.
Nella ricerca di Pathè e Mullen (1997) condotta su un campione di 100 vittime australiane di stalking, emerge che le vittime di stalking hanno riportato gravi ripercussioni a livello psicologico, lavorativo e relazionale.
Il 94% ha riferito di aver avuto notevoli cambiamenti nello stile di vita e nelle attività quotidiane; il 70% ha riferito di aver avuto una notevole diminuzione delle attività sociali; il 50% ha diminuito o persino cessato l’attività lavorativa; il 34% ha cambiato lavoro e il 40% residenza. Il livello di ansia è aumentato nell’80% dei casi. Molte vittime di stalking hanno riportato disturbi cronici del sonno (75%) e pensieri ricorrenti riguardanti l’evento traumatico (55%). Il 50% ha avuto disturbi alimentari, stanchezza, debolezza e cefalee. Una piccola parte, infine, ha avuto problemi di depersonalizzazione (38%), incremento di uso di alcool e nicotina (25%) e persino pensieri di suicidio (25%).
Questi dati indicano la percezione soggettiva delle vittime, e soddisfano pienamente i criteri diagnostici tipici del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).
Anche uno studio svolto in Olanda (Kamphuis et al., 2001, 2003)[4] su un campione di 200 vittime di stalking, ha documentato l’insorgenza in esse di sintomi psicologici rilevanti e di numerosi casi in cui si configura una diagnosi di disturbo post traumatico da stress. La gravità dei sintomi è comparabile a quella che si riscontra nei soggetti che hanno subito classici traumi, come disastri aerei, rapine a mano armata e gravi incidenti automobilistici. Le vittime di stalking, quindi, riportano una serie di disturbi conseguentemente alle molestie subite, che modificano notevolmente la qualità della loro vita.
Gargiullo e Damiani (2008) riscontrano nelle vittime di stalking prevalentemente le seguenti patologie:
Dal punto di vista psicologico ed emozionale, i sintomi più comunemente riportati dalle vittime di stalking sono paura, ansia, rabbia, sensi di colpa, vergogna, disturbi del sonno, reazioni depressive con sensazioni di impotenza, disperazione, paura e comparsa di ideazione suicidaria.
Sul piano della salute fisica sono stati riscontrati disturbi dell’appetito, abuso di alcool, insonnia, nausea e aumento dell’uso di sigarette.
Tuttavia le vittime di stalking non sviluppano in modo deterministico un disturbo: i sintomi possono essere transitori e associati alla resilienza di un soggetto, ovvero alla sua capacità di adattarsi e di gestire la realtà a fronte di un evento traumatico.
[1] Zona, M.A., Sharma, K.K., Lane, J., (1993). A comparative study of erotomanic and obsessional subjects in a forensic sample. Journal of Forensic Sciences, 38, 894-903.
[2] Mullen P.E., Pathé M., Purcell R., Stuart G.W. (1999). A study of stalkers. American Journal of Psychiatry. 156:1244–1249
[3] Patton, C.L., Nobles, M.R., Fox, K.A., (2010). Look who’s stalking: Obsessive pursuit and attachment theory. Journal of Criminal Justice, Vol. 38, Issue 3, May–June 2010, Pages 282-290.
[4] Kamphuis, J. H. & Emmelkamp, P. M. G. (2001) Traumatic distress among support-seeking female victims of stalking. American Journal of Psychiatry, 158, 795 -798.
Kamphuis, J. H., Emmelkamp, P. M. G. & Bartak, A. (2003) Individual differences in post-traumatic stress following post-intimate stalking: stalking severity and psychosocial variables. British Journal of Clinical Psychology, 42, 145 -156.
[5] Bruno Carmine Gargiullo , Rosaria Damiani (2016). Strumenti per il lavoro psico-sociale ed educativo. pp. 144, 2a edizione.
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