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Il Senso di Colpa nella Violenza

Una violenza sessuale ha un forte  impatto emotivo e provoca un forte stress psicologico in quanto spezza l’adattamento tra il Sé e l’ ambiente:le donne violentate si percepiscono più colpevoli che vittime, praticamente responsabili dell’accaduto per il fatto di essersi messe nella posizione di subire una violenza sessuale. In particolare il senso di colpa tende ad essere maggiore quando le vittime erano sotto l’influenza dell’alcol al momento della violenza e, ancor di più, quando ritengono che le loro azioni possano essere giudicate negativamente dagli altri (Finkelson & Oswalt, 1995). Sentimenti ed emozioni come  la vergogna, l’umiliazione, l’imbarazzo uniti al senso di colpa percepito, possono portare alla decisione di non denunciare la violenza subita. Nel processo decisionale intervengono tuttavia anche altri fattori come l’aspettativa sociale, le caratteristiche di personalità, le caratteristiche della violenza stessa subita.

Il primo, l’aspettativa sociale, ha a che fare con quello che le persone significative per la vittima si aspettano da lei dopo la violenza (come il rivolgersi o meno alla polizia ad esempio); il secondo consiste nelle differenze personali tra vittime circa i fattori sociali e anagrafici (l’identità etnica, stato civile, l’età), circa le caratteristiche psicologiche (ad es. l’autostima) e le proprie credenze nei confronti della violenza sessuale.  Il terzo è legato alle particolari caratteristiche dello stupro (ad es. la presenza o meno di armi, il luogo in cui si è consuamato ecc.).

Molte ricerche hanno evidenziato come la donna che non denuncia uno stupro sia condizionata da un’anticipazione negativa delle conseguenze della denuncia stessa e del trattamento che può ricevere dalla polizia (Ashworth & Feldman-Summers, 1978). L’anticipazione delle conseguenze, l’aspettativa sociale e i fattori situazionali, risultano quindi predittori nei casi di denuncia di una violenza sessuale.

Non sorprende che la decisione di denunciare o meno l’aggressione sia strettamente legata all’anticipazione delle conseguenze e che il comportamento di scelta sia collegato all’anticipazione di costi e benefici delle alternative (Lee, 1971).

L’analisi dei fattori incidentali suggerisce che la serietà del crimine, il tipo di relazione vittima-aggressore, l’ubicazione del reato e il consumo di alcol, incidono fortemente sulla probabilità di denuncia del caso. Le violenze che implicano lesioni fisiche, in cui sia stata usata un’arma, perpetrate da assalitori sconosciuti ed in posti insoliti, vengono maggiormente denunciate. Quindi le caratteristiche dell’incidente, le percezioni e le credenze della vittima sono tra le ragioni addotte dalle donne che decidono di non denunciare l’accaduto.

Esiste un set di circostanze che definiscono la violenza sessuale la probabilità di denuncia è più alta se:

  • Lavittima è stuprata in un luogo pubblico o da un aggressore che usa la forza per entrare in casa senza il suo consenso.
  • L’aggressore è uno sconosciuto per la
  • Lavittima è minacciata o sottoposta ad un alto grado di forza.
  • La vittima è seriamente ferita.
  • La vittima oppone resistenza fisica e verbale.

Tuttavia sembra essere molto forte il legame tra la mancata denuncia e il sentimento di colpa percepito dalla donna che ha subito una violenza.

Dalla ricerca di Pitts e Schwartz (1993) risulta evidente che le vittime di violenza sessuale tendono a non raccontare a nessuno ciò che è accaduto quando, al momento dell’aggressione, si trovavano sotto l’effetto di alcol o droghe; questo avviene perché ritengono che gli altri possano attribuire a loro stesse la responsabilità dell’accaduto.

Dalla ricerca di questi autori, su 4.446 studentesse di college, è emerso che solo un’aggressione su cinque comporta ferite fisiche e meno del 2% implica la presenza di un’arma. Nel 70% dei casi c’era stato il consumo di alcol o droghe da parte della vittima e/o dell’aggressore. Solo il 2,1% delle vittime di violenza ha denunciato l’accaduto alla polizia e solo il 4% lo ha denunciato alle autorità del college. Benché le vittime fossero restie a raccontare l’accaduto alle autorità, nel 70% dei casi lo avevano confidato a qualcuno a loro vicino, nell’88% dei casi ad un amico/a.

Generalmente le ragioni addotte per non aver denunciato l’accaduto, riguardano le circostanze dell’incidente. Nell’81,7% dei casi il fatto non era ritenuto abbastanza serio, nel 42,1% dei casi non erano sicure che l’aggressore intendesse fare loro del male, il 30% delle vittime pensava che la polizia non avrebbe ritenuto abbastanza serio l’accaduto ed il 20%, aveva paura che la polizia avrebbe ritenuto la denuncia una seccatura e/o che non ci fossero abbastanza prove a sostegno dell’accusa. La conoscenza con l’aggressore può far aumentare il senso di colpa della vittima, portandola a pensare che “è stata lei a portarlo a compiere un gesto simile”, che non si sia trattato realmente di stupro e che non ci sia, pertanto, nessun crimine da denunciare (Schwendinger e Schwendinger, 1980; Weis e Borges, 1973).

Da una ricerca diversa invece (di Pino e Meier, 1999) emerge che le caratteristiche situazionali dello stupro ed i fattori che influenzano la decisione di denunciare una violenza sessuale differiscono tra i sessi.
Gli uomini generalmente non denunciano una violenza sessuale quando questo può mettere in pericolo la propria virilità, mentre le donne tendono a non denunciare quando la violenza non ricalca la classica, stereotipata, situazione di stupro.

Lo stupro è visto ovunque come un crimine serio e violento, ciononostante la percentuale di abusi denunciati è bassissima.

Uno stupro è senza dubbio un’esperienza emotivamente sconvolgente e profondamente umiliante, spesso la vittima viene sottilmente accusata, dai proprio familiari ed amici, di non aver reagito abbastanza o di aver provocato la situazione e può essere sottoposta a domande imbarazzanti per dimostrare che l’evento è effettivamente avvenuto.

Per quanto riguarda la violenza sessuale maschile, la probabilità di denuncia è incrementata solo dalla presenza di lesioni fisiche e dalla necessità di cure mediche. Influiscono inoltre, nel caso degli uomini, la possibilità di dimostrare che era impossibile difendersi e la chiara superiorità di forza fisica dell’assalitore rispetto a quella della vittima.
Per entrambi i sessi tuttavia le conseguenze negative psicologiche e fisiche di una violenza sessuale sono importanti come la possibilità di contrarre malattie a trasmissione sessuale, di sviluppare disturbi del comportamento sessuale , disfunzioni sessuali o il  Disturbo Post Traumatico da Stress, e, per la donna, anche una possibile  gravidanza indesiderata.

m affermò: “Non si può comprendere la psicologia dell’omicida se non si comprende la sociologia della vittima. Ciò di cui abbiamo bisogno è una scienza della vittimologia.” La prima definizione di “vittima” risale al XIV secolo ed era associata ad un contesto religioso di consacrazione alla divinità di qualsiasi essere vivente (animale o uomo).

La definizione di vittima si è poi estesa includendo anche chi perde la vita in una sciagura o calamità, oppure anche chi, senza sua colpa, subisce un danno ad opera dei suoi simili o in seguito a malaugurate circostanze, e ancora, sia pure inconsapevolmente, ad opera di se stesso o del proprio carattere o temperamento. Nel linguaggio giuridico il termine vittima non viene usato in modo uniforme e appare alternativamente con vari termini come “parte lesa”, “persona offesa”, ecc. Anche le situazioni cui esso è riferito sono numerose, potendosi intendere per vittima tanto il soggetto passivo del reato, cioè il titolare dell’interesse offeso, quanto l’oggetto materiale del reato, che non sempre coincide con il primo. Inoltre vittima di un reato può essere, da un punto di vista giuridico, sia una persona fisica che lo stato. I soggetti più vulnerabili sono i bambini, le donne, gli anziani, le minoranze e le vittime collettive. È necessario inoltre considerare che esiste una differenza tra le tipologie di vittimizzazione che quindi viene suddivisa in tre categorie:

1. La vittimizzazione primaria: è il complesso delle conseguenze di natura fisica, psicologica, sociale ed economica derivanti dal reato stesso, ossia una relazione avuta con l’autore del fatto

2. La vittimizzazione secondaria: è una condizione di ulteriore sofferenza e oltraggio psicologico e sociale vissuto dalla vittima in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione da parte delle agenzie di controllo.

3. La vittimizzazione terziaria: si verifica quando l’autore rimane ignoto oppure viene assolto.

In generale si può parlare di vittimizzazione nell’ abuso fisico e/o sessuale, nel maltrattamento emotivo, psicologico, nell’abuso economico e sociale; quando ci si trova coinvolti in insulti, minacce verbali, intimidazioni, denigrazioni, svalutazioni, che di solito il soggetto aggressore esprime nei confronti del proprio partner, nell’ambito di una relazione di coppia conflittuale. Il maltrattamento implica inoltre che la vittima, oltre ad essere costretta a comportarsi contro la propria volontà, si trovi in uno stato di inferiorità da un punto di vista soggettivo o oggettivo. La capacità di entrare in relazione con l’altro presuppone il riconoscimento e l’accettazione degli interessi personali in uno scambio di reciprocità. Per l’aggressore, al contrario, il partner è privo d’ individualità, è oggetto complementare a se stesso che deve essere “posseduto” per sostenere e mantenere il senso di onnipotenza narcisistica. La maggior parte delle donne che subiscono violenza e maltrattamenti in ambito domestico e che permangono a lungo, talvolta per sempre, in questa situazione, si percepiscono inferiori al suo aggressore, intellettivamente (come nel caso dei deficit mentali), oppure soggettivamente.

Fatta eccezione per le differenze oggettive e misurabili con scale di valutazione, il senso d’inferiorità tra adulti corrisponde ad una percezione distorta dell’Io e della propria immagine corporea.

Osservatorio sulla violenza