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Femminicidio

UNA PANCHINA ROSSA CONTRO IL FEMMINICIDIO

Una panchina rossa in ogni comune italiano come simbolo della lotta alla violenza sulle donne e in particolare al femminicidio: si tratta del progetto “PANCHINA ROSSA” lanciato dagli Stati Generali delle Donne – un centro di coordinamento permanente e un Forum che si presta come interlocutore autorevole per le Istituzioni e si batte per quelli che sono i diritti delle donne in ogni dominio e ambito –  e rivolto ai comuni, alle associazioni, alle scuole e alle imprese di tutta Italia. La panchina rossa vuole rappresentare il “posto occupato” da una donna vittima di femminicidio: posta in uno spazio pubblico servirà a testimoniare l’assenza di una donna nella società, assenza causata dalla violenza.

Questa iniziativa è stata accolta in molte zone di Italia, in cui è possibile, ove presente, fermarsi a meditare su questo fenomeno, che purtroppo non accenna a diminuire.
“La panchina rossa è un luogo dove sedersi a riflettere e dove prendere la forza per imparare o insegnare la potenza del rispetto; un simbolo carico di significato che non ci farà dimenticare le vittime di quella che oggi è a tutti gli effetti una strage e ci rende responsabili della necessità di un pieno cambiamento culturale”, spiega Anna Iervolino, direttore amministrativo dell’ospedale Cardarelli di Napoli, già attivo sul fenomeno attraverso i due centri di riferimento per le donne, il Percorso Rosa e il centro Dafne, ed in cui è stata installata una di queste panchine.

Si tratta di un problema di questo Paese al quale noi dobbiamo dare risposte sistemiche, culturali e strutturali ed è quindi un monito e un’occasione per veicolare il messaggio al maggior numero di persone possibili.

Ma cosa si intende per femminicidio?

Per femminicidio si intende qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico e psicologico, fino alla schiavitù e alla morte. Questo tipo di morte che colpisce la donna perché donna ma si configura come l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico, fisico o sessuale su di esse perpetrata.
Il termine viene utilizzato per la prima volta nel 1992 dalla criminologa Diana Russell che pubblicò il libro “Feminicide”[1], dove affronta la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», spiegandone così il significato:  “Il concetto di femmicidio si estende aldilà della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.

Successivamente nel 1993 l’antropologa messicana Marcela Lagarde utilizzò il termine femminicidio anche per far riferimento a stupro e maltrattamenti. Nel 1997, in uno dei sui scritti[2], teorizzò:

“Il femminicidio implica norme coercitive, politiche predatorie e modi di convivenza alienanti che […] conducono alla eliminazione materiale e simbolica delle donne e al controllo del resto. Per fare in modo che il femminicidio si compia nonostante venga riconosciuto socialmente e senza perciò provocare l’ira sociale, fosse anche della sola maggioranza delle donne, esso richiede una complicità ed un consenso che accetti come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcerne le cause e motivazioni, negarne le conseguenze. Tutto ciò avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola, e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali.”

In Italia, il termine ha preso piede a partire dal 2008, quando viene pubblicato il libro di Barbara Spinelli, consulente dell’ONU per quanto riguarda la violenza sulle donne, intitolato “Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale.”[3]
Secondo Barbara Spinelli, il femminicidio è un neologismo che indica ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro la donna in quanto appartenente al genere femminile […] che ancora oggi, perdura in una concezione di subordinazione sociale delle donne, che le rende soggetti discriminabili, violabili, uccidibili. Si parla infatti di femmicidio e femminicidio per evidenziare come le forme più estreme di violenza contro le donne derivino dall’accettazione di una cultura patriarcale che svalorizza il ruolo della donna e non ne riconosce la dignità ed i diritti in quanto persona.

Sul piano giuridico nel nostro paese, nel giugno 2013, il Parlamento ha ratificato la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” e nell’agosto 2013 il governo italiano ha emanato il decreto legge 93/2013, che visti i continui omicidi e tentati omicidi ai danni delle donne, mira a tutelarle e a punire gli autori di tali fatti efferati, avviando anche misure di prevenzione al fenomeno del femminicidio. Si pone anche l’obiettivo di tutelare le vittime di violenza sessuale e propone misure di sicurezza atte ad arginare il fenomeno.

Successivamente, nel 2017, viene pubblicato uno studio sugli orfani di vittime di femminicidio effettuato da Anna Costanza Baldry che stima che in Italia, in 15 anni (dal 2000-2014) ci sono stati 1.600 nuovi casi di orfani, definiti “orfani speciali”, trovandosi senza genitori, il padre infatti è spesso in carcere o morto suicida, e, in molti casi gli orfani sono testimoni di violenza passate o addirittura hanno assistito alla morte della madre.

La ricerca è stata realizzata grazie al progetto europeo “Switch-off”, svolto in cooperazione con la rete “DiRe. Donne in Rete contro la violenza”. Davanti a questi dati mai prima rilevati in Italia è in fase di approvazione di una legge che tratta il tema degli orfani delle vittime di femminicidio.

Infine, nel 2017 viene istituita dal Senato la “Commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio, nonché altre forme di violenza di genere”, per analizzare il fenomeno in Italia e trovare soluzioni atte ad arginare il fenomeno. Ad esempio, sono nati in tutta Italia dei centri che si occupano degli uomini maltrattanti, attualmente ce ne sono una trentina e hanno un’importanza fondamentale poiché potrebbero condurre verso un concreto cambiamento.

Bibliografia e sitografia

http://www.rai.it/dl/tgr/articolo/ContentItem-80494956-cf85-4230-8c8a-95f284cf7df3.htmlù.

https://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-si-chiama-femminicidio-2/http://femminicidio.blogspot.com/2011/03/che-cosa-significa-esattamente-il.htmlhttps://27esimaora.corriere.it/articolo/il-femminicidio-si-puo-fermare/ .
https://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2016/08/01/femminicidio-violenza-donne-educare-uomini.

Mancini Manuel Marco (2018).  Narcisismo e Femminicidio: uno strumento per comprendere se si è in una relazione pericolosa. Roma – Sovera, Edizioni.

Russell D. H., Radford J.(1992). Feminicide: The Politics of Woman Killing. Twayne Pub.

Traduzione a cura di Roia F.(2017). Crimini contro le donne, Politiche, leggi, buone pratiche. pag.41, Milano- Franco Angeli Editore.

Spinelli B. (2016). Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale. Milano – Franco Angeli Editore.

[1] Russell D. H., Radford J.(1992). Feminicide: The Politics of Woman Killing. Twayne Pub.

[2] Traduzione a cura di Roia F.(2017). Crimini contro le donne, Politiche, leggi, buone pratiche. pag.41, Milano- Franco Angeli Editore.

[3] Spinelli B. (2016). Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale. Milano – Franco Angeli Editore.

Osservatorio sulla violenza